Prima di parlare del grazioso (a dir la verità “sinuoso” è il primo aggettivo sortito alla mia mente al primo vederlo ma poi, dopo attenta rilettura, ho castigato questo aggettivo troppo “sensuale” per non suscitare le ire di alcune pudiche lettrici) camino in questa scheda presentato, vorrei comunicarvi quel poco che so riguardo la storia del suo marmo perché mi sono fatto convinto che questa storia possa interessare anche gli eventuali acquirenti/estimatori di questo esemplare.
Un oggetto d’arte come questo, e son certo che voi sarete d’accordo con me, VIVE anche della sua storia, non solo della sua mera esistenza.
Dovete sapere che questo marmo, pur francese di nascita, ha un nome italianissimo. “Griotte”, infatti, è la francesizzazione di un antico (mi piace molto definirlo anche “arcaico”) nomignolo italiano: “Agriotta”, che sta per l’attuale “amarena”.
Mai nome fu più azzeccato di questo, non credete?
Non somiglia enormemente questo colore al colore del frutto che negli anni ’60 e successivi ha reso fresche le nostre estati canicolari con l’assunzione, tramite granite a manetta, della mitica “Amarena Fabbri”?!
Altro che quelle costosissime e pericolose schifezze che i giovani “moderni” tracannano verso sera in ogni luogo che somigli ad un bar..
Ma torniamo a noi.
Il nome “Agriotta” venne coniato in qualche laboratorio di scultura della Lunigiana, così divenendo un vocabolo tecnico, conosciuto solo nell’ambito degli addetti ai lavori, fatto questo che certifica la stretta unione tra stilismo francese (per essere pignoli nel caso del nostro esemplare dovremmo dire “parigino” più che “francese”, lo stilismo parigino era infatti il più raffinato) e scultura italiana (meglio dire “lunense”, visto che nella Lunigiana - e non nell’Italia tutta - esistevano i migliori maestri scultori del mondo intero).
Questo a testimonianza di quanto io vado esprimendo da sempre: Noi italiani (in questo caso gli scultori lunensi) eravamo “i cinesi” dei francesi. Loro disegnavano e noi realizzavamo lavorando sodo, loro guadagnavano fior di franchi (ma anche sterline, dollari e rubli) e noi sudavamo cento camice tra la polvere bianca del marmo apuano. Per darvi un’idea: A San Pietroburgo le fontane, le statue, le colonne, i camini e perfino i pavimenti sono stati realizzati a Sarzana o Carrara o Pietrasanta etc… Secondo voi, chi si è arricchito di più? La Maison parigina che li ha commissionati od il maestro scultore carrarino?!
I francesi tentarono di dare un nome francese a questo marmo, chiamandolo “Sang de pigeon” ma senza successo, questo “nick”, infatti, deve essere apparso ai più piuttosto macabro, e così ripiegarono sulla francesizzazione dell’italico ed originario “Agriotta”.
Ma la storia del nostro Griotte non finisce qui, anzi, s’infervora incrociandosi con la storia della Reggia di Versailles e quindi con il Re Sole, Luigi XIV, costruttore della stessa magione.
Si narra che fu lo stesso Re Sole a comunicare ai suoi architetti con quali marmi avrebbero dovuto arricchire la sua residenza di campagna e la classifica fu la seguente:
Su tutti il marmo di Sarrancolin, poi il Rouge Griotte e terzo classificato fu il marmo sino a quel giorno ritenuto il più importante e prezioso del globo terracqueo, il mitico Statuario Carrara.
Insomma, noi italiani ci siamo classificati sì terzi ma anche primi nel colore bianco, che poi è il colore dominante, almeno in fatto di camini.
Dopo questa italica difesa d’ufficio, torniamo al nostro Griotte.
Che gli accadde, quel giorno?!
Beh, oltre a diventare oggetto di tanti arredi della casa più bella al mondo (e vi pare poco?!), quel giorno il nostro marmo cambiò…. nome e divenne “Rouge du Roi”.
In verità i suoi due nomi, quello antico e quello nuovo, oggi convivono beatamente e se Macron non si accorge di questa ingerenza italiana in uno dei marmi più importanti della casa simbolo della Grandeur Francese, tutto filerà liscio per qualche altro secolo.
Ora mi è rimasto poco spazio per il commento vero e proprio, per cui sintetizzerò le sue caratteristiche salienti.
Innanzitutto interessantissimo (e rarissimo) il “movimento” del suo frontale, movimento molto diverso dalle linee dei classici frontali Luigi XV (date un occhio ai camini che pullulano in questa stessa sezione e capirete subito) in quanto disegnato con un particolare “stacco” (reminiscenza settecentesca), è questo elemento che a me fa apparire questo camino “sinuoso”, elegantemente sensuale, certamente originale.
Poi la caratterizzazione, anche’essa originale e rarissima, della conchiglia centrale. In luogo della più classica “stilizzazione fogliacea”, stavolta la nostra conchiglia (immancabile nell’ornato Luigi XV) diventa una aperta e fascinosa coda di pavone.
Particolare piccolo ma importante come spesso sono i particolari, la campanula che appare sotto la conchiglia é.. grandissima, elegantissima e curiosissima: Sembra infatti il cappello d’un giullare!!
PARIGI, PERFETTA CONSERVAZIONE, PERIODO NAPOLEONE III.